Dunque, secondo Lorenzo “Jovanotti” Cherubini, Gloria sarebbe come La locomotiva e, “presi ad ampio spettro”, Tony Effe sarebbe un collega di Mozart e a quest’ultimo, se non fosse che è tutta su un solo accordo (in realtà, due), la sua Sesso e samba sarebbe piaciuta.
Lo stesso Jovanotti, in questa intervista per Belve, lo aveva premesso: “io ho un problema, è che mi piace tutto”. Certo, lo ha detto con il solito fare ammiccante, non esponendo un vero e proprio problema ma in realtà quello che lui e tanti altri considerano un pregio.
A me subito ha ricordato una frase che quando sento dire mi fa venire qualche sospetto: “io ascolto di tutto, la musica mi piace tutta”. Poi, scava scava, scopri che queste persone in realtà hanno un ascolto passivo della musica, gli piace il fenomeno musicale in se, il fatto che ci sia un ritmo, un suono accattivante, una cosa orecchiabile, fischiettante e cantabile (spesso infatti rigettano le cose tristi, quelle lunghe, quelle che comportano un tempo da prendersi e una introspezione). Ma poi neppure ti sanno dire quel pezzo come si intitola e a volte nemmeno di chi è.
Quando una cosa (che sia una canzone, un libro, un qualsiasi prodotto artistico) la vivi intensamente, tanto da diventare parte integrante della tua vita, e nel caso della musica una sorta di colonna sonora di periodi di vita, il titolo lo conosci benissimo, come conosci il nome delle persone care. Perché quella cosa, appunto, ti è cara, e lo è perché è familiare, fa parte di te.
Ecco, il cuore del problema è la superficialità.
Che ci sta, nessuno può pretendere attenzione e ascolto. E ognuno ha il diritto di ascoltare ciò che vuole e come gli pare. Ma da questo diritto non può nascere la pretesa di dare giudizi verso chi invece intende la musica come arte e non come mero intrattenimento di qualche minuto.
Purtroppo sta invece crescendo la fascia di pubblico per cui la musica è tutta e solo intrattenimento. Rifuggono la complessità e la profondità, considerati vecchi arnesi ingombranti e pesanti di un passato da seppellire (tutto nuovooooo!!!).
E quindi io capisco perfettamente che Jovanotti metta tutto in un gran calderone, un po’ come ha fatto con la grande Chiesa, che secondo lui va da Che Guevara a Madre Teresa, passando per San Patrignano e per Malcom X – personalità diversissime tra loro. Il problema, allora, è scegliere. Se ti piace tutto, vuol dire che non scegli. Ci sarà pure qualcosa che a livello molto generale unisce artisti e personaggi storici, tale per cui si può dire che tanto Mozart quanto Tony Effe hanno a che fare con la musica e che tanto Gloria quanto La locomotiva sono canzoni. Ma, oltre questa unione molto generale, se non generica, ci sono pure le irriducibili differenze. E una gradualità, che va al di là del mero gusto soggettivo (i danni che il detto “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace” ha prodotto sono enormi: esiste una oggettività anche nel bello!)
Scegliere comporta responsabilità e coraggio.
Lo stesso Jovanotti lo ha detto che non gli piace essere oppositivo, non riesce a dire di no, gli va bene un po’ tutto. Lo capisco umanamente – i no costano molto e io stesso fatico a dirne, affrontando dopo un costo ancora maggiore. Molto meno lo capisco artisticamente. A livello artistico alto, è bene invece prendere una posizione, magari anche scomoda. Altrimenti diventa tutto un po’ furbetto, come da sempre ho il sospetto che Jovanotti sia, che ricordiamo è un prodotto artistico di Claudio Cecchetto, il re della plastica anni ’80 e del disimpegno più totale: occhieggiare al grande pubblico, creare un prodotto che vada bene un po’ a tutti senza prendere quelle posizioni che potrebbero fargliene perdere una fetta.
Il dover piacere a tutti non è stato una grande prerogativa dei veri grandi artisti i quali, proprio per certe posizioni, che poi hanno trovato sbocco nella loro arte, hanno avuto schiere di critici e di oppositori. Quelli che Jovanotti non ha; tranne, come dice lui, 3-4 persone. Sempre nella stessa intervista, davanti alla domanda “perché ad alcuni non piaci?”, lui stesso ha detto “si tratta di tre persone, fai prima a domandarlo a loro”. Lo ha detto sorridendo, ma se ci pensate bene questa frase è di una arroganza tale da essere persino violenta per quanto richiama la prepotenza dei numeri davanti l’inspiegabilità e l’irrilevanza del mancato consenso totale. I numeri, nell’arte, non sono tutto: dirò di più, non sono nemmeno la parte più rilevante, come dimostrano le carriere di molti grandi artisti (alcuni scoperti dopo molti anni dopo la morte, basti citare Bach). Proprio perché “è bello ciò che è bello”.
Ed altrettanto significativa è stata la frase “io li capisco quelli a cui non piacevo all’inizio, appartenevano a un altro mondo, basta vedere quelli che gli piacevano”.
La miglior risposta gliel’ha data proprio Francesco Guccini, che è stato il tipico autore che piaceva a questi oppositori qui (e che a me, tranne qualche brano, non ha mai entusiasmato): “Gloria è una bella canzone, una canzone che si ascolta volentieri, però non c’è una storia dietro, non c’è qualche cosa che si chiama cultura o i libri che ci sono stati letti. C’è un lavoro intellettuale dietro certe canzoni e non voglio fare di classe A, classe B, eccetera. Però, c’è tutto un mondo diverso che dietro ‘Gloria’ non c’è. Anche se è una bella canzone, una canzone simpatica”.
Insomma, il gran calderone per farsi tutti amici, essere sempre simpatico e dove metterci tutto – da Gloria (canzone che a me piace molto) a La locomotiva (che mi annoia un po’), da Mozart (artista immenso) a Tony Effe (artista?) – senza capire che sono più le differenze che quello che flebilmente li unisce, è frutto proprio di una incapacità, probabilmente calcolata, a scegliere, a dire “questo è bello, questo no”, “questo è arte, questo no”.
Mi rendo tuttavia conto di due cose.
Che per fare questa operazione occorre possedere un bagaglio culturale fatto di letture, ascolti, viaggi, viaggi interiori, sensibilità acquisite grazie alle opere d’arte. Che non tutti hanno, e che ora, epoca del nulla pneumatico e della istantaneità dove nulla vale se non l’attimo, pare addirittura essere un ingombro.
E che scegliere significa crescere, rendere tutto più chiaro, saper sfrondare, arrivare alle cose essenziali.
Il Cherubini Lorenzo, insomma, sotto questo punto di vista è ancora un giovanotto. E a 58 anni esserlo ancora è bello, e lo vediamo per quello che sa fare sul palco, ma per altri aspetti, dove ci vorrebbe una maggiore maturità e un compiuto coraggio, non so se lo sia.